giovedì 27 gennaio 2011

Flowers in the dirt


Debbo a un libro di Tvetan Todorov una delle letture più affascinanti sulla Shoah. A fronte della nota posizione di tutti coloro che ne hanno scritto, secondo la quale l’uomo ridotto alla barbarie si comporta da lupo sui suoi simili, Todorov afferma due cose:
1 se anche così fosse, non si dovrebbero trarre giudizi sulla natura umana posta in condizioni inumane;
2 comunque questo non è vero. Certo tutti, compreso Primo Levi colgono soprattutto questa eclatante e diffusa condizione nella quale si è ridotti al “tutti contro tutti”, ma ecco lo stesso Levi e molti altri, poi, nel raccontare, senza accorgersi, narrano di episodi di umanità straziante.

Ecco, tra questi, tra quelli citati da Todorov, più che atti di eroismo, mi hanno colpito alcuni di “cura”, “preoccupazione” per il prossimo, non necessariamente un familiare, ma certo spesso un familiare, questi avvenuti nel Ghetto di Varsavia, ma è solo un caso. E allora:
“Ecco la storia di una giovane ragazza, Pola Lifszyc, che si sviluppa nel momento in cui alcuni convogli partono per Treblinka. “Tornando a casa, si è accorta che sua madre non c’era più. Era già nel gruppo spinto verso l’Umschlagplatz, e Pola le ha corso dietro, dalla via Leszno sino a via Stawski; qui incrocia il suo fidanzato che la carica sualla sua bicicletta per viaggiare più in fretta, e dunque arriva. All’ultimo momento, scivola tra la folla per poter salire sul vagone, con sua madre”.
“Ecco la storia di un’infermiera, M.me Tennenbaum: ha ottenuto un “ticket” che le permette di sfuggire – temporaneamente – alla deportazione; sua figlia invece non ce l’ha. La signora Tennenbaum chiede alla figlia di conservare il biglietto un istante, sale al piano di sopra e inghiottisce una forte dose di luminal. Fine delle discussioni”.
“Talvolta non si dona la propria vita, ma paradossalmente quella di altri. Così una dottoressa avvelena i bambini dell’ospedale dove lavora prima che le SS se li portino via. Ma per fare questo ha dovuto sacrificare il suo stesso veleno: ha regalato il cianuro per sé ai figli degli altri. Ecco in che senso vivere può essere più difficile che morire”.
“Così, vi è anche l’infermiera che mentre i Tedeschi evacuano il pian terreno dell’ospedale, assiste ad una nascita al primo piano; appena nato il bébé, lo stringe tra due cuscini. Il bimbo lancia qualche grido e muore. Ha fatto ciò che doveva, tuttavia, quaranta cinque anni dopo, quell’infermiera /Adina Blady Szwajger) ancora non dimentica che ella ha iniziato la sua carriera infermieristica dando la morte”.

Le citazioni sono tratte da T. Todorov, Face à l’extrême, Paris 1991, pp. 26-28. Le traduzioni dal francese sono mie.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

ottimo

Anonimo ha detto...

Bello veamente!

Anonimo ha detto...

Un gesto di grande amore e altruismo.Ecco io vorrei riuscirci perchè il veleno l'avrei bevuto seduta stante.

Anonimo ha detto...

"Odio la libertà". Costringe a scegliere.
Salvador Dalì

Anonimo ha detto...

Gesto estremo ma bellissimo.