mercoledì 19 febbraio 2014

Acabar

Negli ultimi anni mi sono domandato spesso se il mio disinteresse e addirittura fastidio sulla questione dell’indipendenza della Sardegna non fossero dovuti a uno snobismo tipico del sassarese o del sedicente intellettuale (della magna Grecia, come mi sono sentito apostrofare da un amico un paio di anni fa, e per tutt’altri motivi) o che altro. Comunque ho cercato tacendo di non sottovalutare quello che pareva e pare emergere un po’ in giro e soprattutto su facebook: un revanchismo identitario (ah, l’identità), fatto di barbe più o meno incolte, limba sarda, eskimi(!), terzomondismi, libri per einaudi, zootecnia avanzata (!, chissà se la blue tongue e la peste suina rientrano nella definizione), templi fenici, porcetti e barbaricismi vari.
Così circondato ho affrontato silenziosamente anche la questione Murgia, pensando e soprattutto sperando che tutto questo bailamme si risolvesse in un flop, ma ripeto, tacendo, perché da un po’ non ne azzecco una e perché francamente un anno fa ero certo che il movimento 5 stelle non avrebbe preso un voto e poi...
Ora che l’accabbadora ha acabado sé stessa, ora che i sardegnapossibilisti hanno raccolto il 6% dei voti , mi sento rinfrancato, sia nel mio personale orgoglio, sia perché mi pare di capire che il chiasso in limba sia ancora una volta solo questo: chiasso. D’altro canto, mi rendo conto che la soddisfazione deve per forza finire qui: le colpe e le responsabilità che hanno lasciato margine per il (non) gonfiarsi di fenomeni populisti di scarsissimo respiro sono tutte lì e per quanto faccia auguri di buon lavoro al prossimo consiglio regionale, dubito che possa migliorare in un quinquennio un quadro che si è deteriorato in decenni di cattiva politica e pessima e clientelare amministrazione. La speranza dovrebbe essere l’ultima a morire, ma ognuno spera finché può e io, ora almeno, non può. L’unico parere che ho per il prossimo futuro tuttavia è quello che non sia affatto il caso di andare a cercare accordi o relazioni con le truppe (se così si possono chiamare) della scrittrice (se così si può chiamare); ma che sia molto meglio fare della buona politica, che peraltro è cosa molto più complicata della prima.

Si tratta di immaginare un futuro migliore, non lo si chieda a me, ma d’altronde mica ci sono io in consiglio regionale a 10000 euro al mese.

giovedì 13 febbraio 2014

Atmosfere

Secondo me in quello che sta succedendo in queste ore a proposito del governo non è facile trovare analogie con il passato. La prima repubblica è lontana, almeno per me. E tuttavia, nonostante il fervore con il quale pare che quasi tutti stiano seguendo la vicenda io credo di poter ravvisare con la prima repubblica non tanto un'analogia, appunto, quanto un dato comune, pure, davvero, al momento, poco apparente: l'indifferenza.
Mi spiego, vi è stato un tempo, nell'Italia della prima repubblica appunto, in cui cambiare il presidente del consiglio non significava poi granché; cadeva un governo ogni dieci mesi o giù di lì, il governo Craxi, il più lungo della prima repubblica, durò tre anni, neanche De Gasperi riuscì a far durare di più un suo governo. Non parliamo dei ministri. E in tutto questo tourbillon in fin dei conti il Paese andava avanti, verso il baratro, ma andava avanti. Le dimissioni di un Andreotti o di un Fanfani non significavano niente di traumatico.
Tutto è cambiato con la seconda repubblica, ma a dire il vero, ancora una volta, non per la capacità di leadership di qualcuno, ma solo per la forte polarizzazione causata da Silvio Berlusconi, siamo seri. L'attenzione spasmodica verso le tensioni governative hanno avuto senso solo con la presenza di Berlusconi e in misura molto minore di Prodi.
Solo recentemente, molto recentemente, con la crisi dello spread, quindi a partire dagli inizi del 2011 direi, la questione premier e conseguente stabilità del governo hanno assunto un significato di vita o di morte per la maggioranza degli Italiani. Avere un premier significava rendere sostenibile il debito italiano e quindi molti stipendi, molte pensioni, la vita o la morte di tutti noi.

Oggi, che Berlusconi è fuori gioco almeno per il ruolo di presidente del consiglio, che la crisi dei BRICS ha riportato i soldi in Europa, che Draghi ha salvato l'Euro, che la situazione è calma, seppure difficile (come almeno dagli anni 70 che io sappia), la questione di chi fa o non fa il presidente del consiglio può tornare a essere quello che era: qualcosa di assolutamente indifferente.