venerdì 21 agosto 2009

Necessità sociale

Questi mondiali di Atletica sono bellissimi.
Mi sono sempre piaciute le gare di Atletica, ma questo "tartan" blu è davvero originale, bello. Non così belle sono le riprese teutoniche, anche se la tecnologia è ormai talmente meravigliosa da permettere di godere di un immenso spettacolo di energia e bellezza fisica e sportiva.
Quando il 23 finiranno avrò una piccola crisi di astinenza.
Nel contesto gli Italiani stanno purtroppo facendo una magra figura: niente medaglie sinora e se tutto va bene ne becchiamo una (incrocio le dita per il nostro marciatore).
I motivi sono tanti: alcuni dipendono dalla genetica, altri da una storia non sufficientemente multietnica (alla faccia di Maroni).
Però, però in passato abbiamo saputo dare e fare, oggi no.
Colpa anche della distruzione del sistema scuola che aveva, in un contesto di misera attenzione all'educazione fisica (considerata forse disciplina troppo fascista nell'Italia primorepubblicana), i "giochi della gioventù" e ora non li ha più.
Francesco Panetta, campione non troppo remoto frutto dei giochi della gioventù ha detto avant'ieri una cosa che mi ha colpito, che mi è (s)piaciuta: "In Italia lo sport non è percepito come una necessità sociale".
Ecco "una necessità", questa è la parola giusta, qualcosa di fondamentale per la formazione dei nostri ragazzi e per la costruzione della loro cultura.
Magari, anche della loro identità di Italiani.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Concordo su tutta la linea, eccetto una cosa: dell'assenza o delle scarse prestazioni degli italiani me ne frego totally. Sono i mondiali e mi godo lo spettacolo del mondo. L'Italia è periferia, è monnezza, culturale, sociale, sportiva. Non tifo per un italiano perché italiano. Tifo per chi si fa il mazzo ed emerge. Vedere la tedesca del salto in alto partecipare alla festa dopo aver perso forse la più bella occasione della sua vita sportiva è stato uno spettacolo meraviglioso. E la Di Martino ha fatto un figurone. Non così quella livorosa di Elisa Cusma Piccione, che si vergogna (ma perché?) del suo secondo cognome e tutto quello che ha da dire dopo un sesto posto ai mondiali è che la sudafricana è un uomo e che le avversarie nei turni precedenti avevano fatto tempi peggiori. Questa è l'Italia? Ma viva Jamaica, Panamà, Barbados, Sudafrica (viva le donne mascoline, brutte, viva gli ermafroditi).