Sui giornali leggo che ora il rinnovamento sta passando per la nostra amata terra.
Ma siamo sicuri che il rinnovamento non fosse già in atto?
Ricordo il 2000, anno nel quale muovo i primi passi in politica. Poi ricordo anche il perchè.
Già da qualche tempo, un’illuminata classe politica, riferimento della sinistra riformista sarda, inizia a costruire ciò che è stato poi, per la politica isolana, un vero cambio di passo. In quegli anni, il nostro popolo aveva urgente bisogno di ricostruire la propria identità, rilanciare l’economia locale e riformare la nostra società. Qualcuno allora pensò che fosse giunta l’ora di progettare un nuovo percorso politico che finalmente archiviasse uno statico e conservatore modo di amministrare la cosa pubblica. Quando nessuno ancora poteva solo immaginare quello che oggi viene definito “modello Soru”, qualcuno lo studiava e progettava. In poco tempo, sempre lo stesso Qualcuno, costruisce le basi perché questo progetto possa essere presentato ai sardi, individuando con grande cura gli interpreti e radicando nel territorio i nuclei che avrebbero potuto diffondere e sostenere l’idea. Questo passaggio era fondamentale, perché senza radici nessun progetto politico serio può avere futuro.
Arriva il 2004, le condizioni sembrano favorevoli al progetto di cambiamento fin lì avviato, ma manca ancora un tassello. E’ tempo di elezioni regionali. Viene scelto il candidato alla Presidenza della Regione che guidi una coalizione di centro-sinistra, sardista, con chiari connotati riformisti ed autonomista. Qualcuno osserva ed individua in Renato Soru l’uomo giusto.
E’ la ciliegina sulla torta. Si vince.
Presentata al popolo sardo, l’idea piace e sfonda ogni barriera e diffidenza. Questo movimento riformista entusiasma, non ha bisogno di essere targato con sigle particolari perché si sente nell’aria. Ha la faccia di donne ed uomini che scendono in campo e partecipano alla vita politica regionale, lavorano per unire e trascinano intere masse (soprattutto giovani) verso un riscatto che da anni si attendeva. La dirigenza politica di questo progetto è composta da tante persone i cui nomi diventano ben presto noti, ma nessuno di essi scade in personalismi che avrebbero deviato l’attenzione verso un identità collettiva che stava maturando. I sardi comunque li riconoscono come guida e li seguono con fiducia ed ottimismo. Il progetto diventa realtà.
Ma bisogna andare avanti. La conduzione della Regione non basta.
Nelle province bisogna lanciare figure di rottura con il passato. Nel Sassarese, per esempio, vengono proposte coalizioni guidate da uomini e donne che possano esaltare e migliorare i risultati che già arrivano dopo il varo del nuovo progetto riformista sardo. Il solito Qualcuno pensa che sia l’ora di figure che, nel frattempo, sono state fatte crescere nei partiti politici che hanno avviato questa nuova età politica. Nel 2005 arriva quindi una nuova fase costellata da numerose vittorie politiche in ogni realtà locale. In quel momento, certi periodi del passato vengono ormai ricordati come il medioevo della politica sarda. Tutti erano utili, ma nessuno si proclamava indispensabile. Tutti però si proclamano socialisti con orgoglio.
Arriva il 2008 , su scala nazionale nasce il Partito Democratico e lo strumento della primarie ricuce definitivamente i rapporti fra società reale e politica. Manco a dirlo, i protagonisti della nuova recente fase polita sarda osservano la situazione in rapida evoluzione ed avviano una lunga e faticosa opera di fusione fra il modello riformista varato in Sardegna e il progetto del PD nazionale.
E’ un altro trionfo. Si può fare!.. ma qualcosa comincia a non funzionare come dovrebbe.
Qualcun Altro inizia a pronunciare il “Si può fare” in lingua straniera e sostituisce il pronome “NOI” con “IO” nei suoi interventi e la macchina presto si inceppa. Un miscela di autoritarismo e diffidenza si diffonde nell’area riformista. Dalla condivisione allargata si passa al centralismo.
Numeri alla mano, il progetto riformista non avanza più nei consensi, anzi arretra. C’è bisogno di una virata per riprendere quel vento che spira su altre rotte. C’è bisogno di organismi composti da dirigenti che pensino e trovino soluzioni. Ritornare al “NOI”. Ma questo tarda ad avvenire e non so perché.
Per ora, so solo che tanti sono stati ora esclusi dal progetto e per primi i promotori della recente epoca di rinnovamento. E questo, solo la storia ci rivelerà se sarà stato un bene od un male. Vedremo…