lunedì 13 settembre 2010

Pecorino rumeno

Copio e incollo dal Corriere della Sera:

Capitale, azionisti, mission: dalla Camera di commercio di Bucarest affiorano tutti gli ingredienti di un business fratricida. Se non nei fermenti lattici (romeni) almeno negli investimenti, il pecorino dell’Est concorrente del Dop è rigorosamente italiano. Mentre pastori e allevatori, schiacciati dalla crisi dei vari comparti, manifestano con sit in e proteste locali (dalla Sardegna alla Sicilia) dai registri di Bucarest, spunta l’identikit della concorrenza. Lactitalia, società «cu raspundere limitata», specializzata in allevamento di bovini da latte, ovini, caprini, prodotti caseari e alimentari vari (ma anche investimenti e amministrazione d’immobili) che esporta latticini romeni con nome cinematografico - «La Dolce Vita» - è un mix inatteso di capitale privato e pubblico. La prima sorpresa la riservano gli investitori privati,ossia la Roinvest srl.

Se il nome è oscuro, la proprietà è illustre: l’impresa, con sede a Sassari, appartiene infatti ai primi produttori caseari della Sardegna: Andrea e Pierluigi Pinna. Nomi prestigiosi con un ruolo strategico proprio nella difesa del made in Italy. Il primo, Andrea, è vice presidente del Consorzio di Tutela del Pecorino sardo. Suo fratello, Pierluigi è consigliere dell’organismo che certifica il controllo di qualità dello stesso formaggio nostrano. L’uno e l’altro dovrebbero difendere il prodotto dai falsi, come si legge sul sito: «Il consorzio svolge sia nel territorio di produzione che in quello di commercializzazione, funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e salvaguardia degli interessi relativi alla denominazione, contro ogni e qualsiasi abuso, atto di concorrenza sleale e contraffazione». Con una quota azionaria pari al 70,5% i Pinna sono i principali azionisti di Lactitalia. Quanto all’altra fetta di azionariato, il 29,5% del capitale residuo, appartiene alla pubblica Simest, controllata dal ministero dello Sviluppo economico. Sul «pecorino di stato» tuona Coldiretti: «Ci auguriamo che il ministero ritiri la quota di partecipazione a un’impresa che imita il made in Italy e fa concorrenza sleale ai nostri imprenditori» dice Sergio Marini, presidente di Coldiretti. Insomma qui non è più la lotta al Chianti californiano, al pesto della Pennsylvania o al pomodoro cinese: il piccolo faro occupazionale rappresentato dallo stabilimento Lactitalia di Recas a 20 chilometri da Timisoara, rappresenta un affronto per pastori, e allevatori che producono a costi sempre più elevati e con margini sempre più incerti.

A parte la bile per i soci dei consorzi nello scoprire che i propri rappresentanti nominati per tutelarli investono nell’impresa concorrente (beneficiando di sovvenzioni pubbliche, di solito regionali), c’è quell’investimento pubblico in Lactitalia che, secondo i calcoli di Coldiretti, è pari a «862mila euro». Mica poco. Intanto fratelli Pinna, interpellati in proposito, non rispondono. Vuoi per gli impegni aziendali, vuoi per altri locali: «Mi spiace ma non sono in sede, partecipano alla festa patronale della Madonna di Seuni» spiegano con gentilezza dalla direzione. Irritazione per la vicenda Lactitalia filtra anche dal ministero dell’Agricoltura: «Abbiamo istituito un gruppo di lavoro che si occupa di contraffazioni dei prodotti agricoli italiani in genere. Quanto a Lactitalia, la responsabilità non è nostra ma di chi ha gestito e gestisce il ministero dello Sviluppo. Si conferma comunque che abbiamo ragione promuovere la battaglia sull’etichettatura e insistere con l’Europa affinchè vigili sui prodotti di origine controllata e sanzioni in caso di contraffazioni».

Ilaria Sacchettoni

1 commento:

Giampiero ha detto...

Tra i molti altri dubbi che suscita questa vicenda, ce n'è uno che non riesco a soddisfare: ma perchè lo Stato italiano deve fare il casaro? Possibile che tra le mille incombenze del Ministero dello Sviluppo Economico (nome un po' troppo pretenzioso) ci sia anche quella di produrre e vendere formaggio?