venerdì 16 luglio 2010

Cosa non mi quadra del PD

Confesso che faccio sempre più fatica a scrivere e parlare di politica. Da quando, a partire dal 2007, il mio impegno di partito si è fatto concreto e intenso sono divenuto progressivamente afasico. Tuttavia mi esercito ora in questo tentativo di esprimere cosa secondo me non va nel PD. E non dico PD sardo perché la mia analisi è la stessa.
A me pare che al di là di qualunque altro pur importante argomento, ciò che non va è la assoluta mancanza di una idea politica complessiva o anche parziale. Cioè di cosa sia necessario fare per avere cura della polis, della società. La verità è che, venute a mancare le ideologie che hanno innervato di sé il Novecento, non si è stati in grado di sostituirle con niente. Non solo perché le ideologie sono (erano) troppo rigide e vecchie per piegarsi e adattarsi al nuovo, ma anche perché le classi dirigenti - non solo di sinistra ma noi di sinistra parliamo - che detenevano il potere non hanno avuto l’onestà di riconoscere non solo o tanto di non aver capito niente del passato (che sarebbe stato auspicabile), ma almeno la loro incapacità interpretativa del presente e lasciare il campo. Hanno preferito perpetuarsi, a tutti i livelli, riducendo la complessità della politica alle sole dinamiche di politics quelle cioè volte all’ottenimento e alla gestione del potere.
Alla morte delle strutture partitiche tradizionali, non ha fatto seguito la morte (metaforica) delle loro classi dirigenti. La verità è che la famosa frase che ho ripetuto per mesi assieme a tutti noi: “il PD sarà un partito nuovo, non un nuovo partito” non aveva alcun senso. Abbiamo solo un nuovo partito, più grande rispetto ai due di partenza (almeno per ora) ma non diverso. Stesso schema correntizio, parola che non mi scandalizza affatto data la dimensione della scatola politica della quale parliamo (io per primo sono espressione di una corrente, come lo è questo giornale), che però non è mitigato né dalle regole o dallo statuto, né dalle idee provenienti dalla classe dirigente. Che è la stessa di prima, sia a livello nazionale sia locale, ergo stessi meccanismi di occupazione del quadro politico. Anche i pochi spazi creatisi per “facce nuove” hanno richiesto un preventivo adattamento al sistema, o, meglio ancora, sono stati occupati da “facce adatte” al sistema, compresa la mia. Un “sistema feudale”, per usare termini di questi giorni, che di per sé tende naturalmente ad una infinita ricomposizione di alleanze che hanno come fine il mantenimento o l’ampliamento del proprio potere e non il rafforzamento di un insieme condiviso (sia esso un partito o uno stato). Qualunque idea o principio è subordinato a questa necessità. Il partito di per sé non esiste, non è in grado di selezionare alcuna classe dirigente, di proporla all’elettorato, di farla eleggere grazie ad una forza di convincimento basata sulle idee e sulle proposte. Lo scollamento con la società è quasi assoluto, fatti salvi i legami clientelari. Di volta in volta si candidano alle elezioni persone che per motivi diversi, anche nobili magari, portano già da casa loro in dote un pacchetto preconfezionato di voti, a prescindere dalla loro capacità di interpretazione delle necessità della società e dell’eventuale linea politica del PD, che è inesistente anche proprio per questi stessi motivi. Ciò giustifica il salire e scendere dal partito come dall’autobus. Anche i casi migliori, come ad esempio quello del Comune di Sassari, sono il risultato di alchimie complesse, legate prima ancora alla persona che al metodo, e sono irriproducibili. Ed è inutile parlare di Soru, che non sottovaluto affatto (chi potrebbe?) né come personalità (ancora) né per il suo impatto sul sistema politico. Sia agli esordi (quando valeva da solo 100.000 voti) sia successivamente, Soru ha comunque fatto aggio sia nella fase A (quando era “amico nostro”) sia nella fase B (quando è diventato “nemico nostro” perché si voleva prendere la segreteria regionale) su pezzi preesistenti della classe dirigente di questo partito, e ha usato meccanismi identici a sempre, o almeno agli anni della mia personale esperienza.
Come se ne esce? La frase che si sente ripetere sempre è: bisogna tornare alla Politica, bisogna fare la Politica, per la gente (che brutta parola). Ma io non lo so, certo che bisognerebbe, ma chi lo deve fare? E lo sta facendo? I pochi tentativi vengono fatti sempre più spesso tramite fondazioni o associazioni, parallele, ma esterne al PD. Per il resto mi sembra solo che si proceda per consunzione, per lento logoramento di un elettorato sempre più stanco, distratto (anche a Sassari), disperato che va sempre meno a votare e lo fa sempre più spesso ad personam (basti vedere i pochi voti senza preferenza presi a Sassari), e con l’infinito logoramento di segretari costretti all’afasia (come me) e alle dimissioni.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono felice che oggi non avevi im pegni ma per i prossimi 10 post prendi esempio da A.S di DIES. Su dai che c'è caldo.