lunedì 1 dicembre 2008

Cose vecchie

È molto difficile giudicare l’importanza di una cosa nel momento stesso in cui si verifica. Quanto meno è complesso giudicare della portata della sua importanza. L’analisi delle cose presenti e le affermazioni circa la loro importanza riguardano categorie di professionisti, che hanno spesso compiti diversi da quelli dell’analisi in prospettiva, e anche quando si pongono tale obiettivo, spesso non lo colgono. Talvolta si pensa che la capacità di “pensare in prospettiva” sia una qualità dello storico - spesso è lo storico stesso a pretenderlo, per dirla tutta - ma per definizione gli storici non lavorano - o non dovrebbero lavorare - “a botta calda”. Lo storico non può permettersi di rimproverare nessuno - giornalista, ambasciatore, politologo o politico che esso sia - della mancanza di prospettiva, poiché lo storico dovrebbe sapere che il suo lavorare in prospettiva è costruito alla rovescia e a bocce ferme, è un lavorare sul passato e non sul futuro, è un usare il microscopio e non il cannocchiale e, soprattutto, è tutt’altro che fare il detective perché lo storico sa già come le "cose" siano andate a finire (caso mai è più simile ad un anatomopatologo, mestiere importante ma non è questo il punto). Insomma le cose appaiono chiare a posteriori, la loro logicità o addirittura ineluttabilità si può (quando si può) cogliere solo a posteriori. Invece, la difficoltà che è insita nelle cose e nelle vite delle persone sta tutta nel presente, nella decisione e nell’analisi compiuta durante. Non solo, il livello di questa difficoltà è reso ancor più elevato per il fatto che in realtà nulla è ineluttabile a questo mondo, almeno dal punto di vista dei processi storici, e alcune delle cose che rendono formidabile una cosa accadono dopo l’avvenimento di quella cosa lì e non necessariamente dovevano accadere.

Oggetto del preambolo ermetico

Il preambolo è ermetico perché chiarirne il senso mi avrebbe portato troppo lontano dal punto al quale volevo arrivare. Non solo, gli spunti che mi pareva contenere mi sembrano di tale portata e difficoltà da non sentirmi in grado di affrontarne il chiarimento (so che ciò è contraddittorio, e anche velatamente presuntuoso, ma…).

Il vero punto di partenza della mia personale riflessione, niente affatto originale, è: il 1989, la caduta del muro di Berlino. Non che gli analisti contemporanei non ne avessero colto l’importanza e anche io a modo mio, anche se in modo strettamente emozionale, ma questo non importa. Mettiamola così, il fatto è che IO ritengo o comprendo solo da poco che quello non è solo il momento nel quale si chiude il cosiddetto “secolo breve”, il Novecento, il nostro Novecento, il mio Novecento. È anche, e anche questo non è un concetto originale, la fine di un’epoca storica, non solo di un secolo, pur violento e “formidabile” oltre che frenetico e mostruosamente accelerato, tanto da durare meno di un secolo, appunto. Insomma, dal mio punto di vista, e a posteriori, non è possibile comprendere il presente e provare a intervenire in esso usando categorie politiche che precedano il 1989. So che forse sembra un’espressione forte, soprattutto da parte di qualcuno che ha “sposato” una causa politica dotata di una precisa tradizione pre-muro, ma lo ribadisco in modo più netto: secondo me la fine dell’Unione Sovietica rappresenta una cesura, una faglia di San Andrea che ha reso obsolete in pochi istanti le categorie politiche sulle quali si è basata la storia di questo pianeta almeno dal Manifesto di Marx ed Engels, facendo salvo, forse, e più in là forse riuscirò a spiegare perché, il concetto di destra e sinistra hegeliana.

E qui mi fermo, perché nuovamente il pensiero mi ha portato di fronte ad una montagna troppo alta da scalare, almeno stanti le attuali condizioni, e forse non varrebbe la pena scalarla, perché non è questo l’obiettivo che ho. Non solo, alcuni degli elementi che rendono vera la mia affermazione (vera per me), sono seguenti alla caduta del muro, ne sono conseguenza, ma appunto non ineluttabile e quindi tutta la mia verità ha senso in me e per me solo e soltanto in questo dei mondi possibili, in quello che si è verificato dopo la caduta del muro e non in altri possibili scenari sempre successivi ad essa caduta, che forse ne avrebbero reso meno significativo l’essere avvenuta.

L’obiettivo che ho

L’obiettivo che ho è quello di impegnarmi a dire qualcosa di sensato per il futuro della sinistra. E già questa è un’affermazione che in qualche modo si presenta come contraddittoria rispetto ad alcune delle cose appena scritte, per prima quella piccola riflessione su destra e sinistra hegeliana. Ma la risolvo così: le parole talvolta sopravvivono a se stesse. La democrazia ateniese non è certo la nostra, ma questo non ci impedisce di usare questa parola (non solo, ma di immaginare quella ateniese come ideale ancora oggi!!). E allora sinistra sia, almeno per me, e sia una sinistra nuova perché deve mostrarsi capace di costruire un reticolo di senso politico totalmente nuovo.

Questo non significa negare la validità di alcuni concetti che, almeno in questo contesto storico, mi paiono ancora fondamentali; significa però uscire nettamente dal sistema all’interno del quale questi concetti erano incastonati, uscire da un’impalcatura politica che, ammesso che abbia funzionato in passato, ora certamente non regge più e mi spingo a dire esplicitamente che la stessa parola socialismo (il fantasma che si aggirava in queste frasi), con la sua valenza di sistema appunto, non funziona più. Non credo che dicendo questo io neghi la validità dell’importanza di uno dei valori fondanti che il socialismo ha propugnato con forza durante la sua storia: quello della persona umana e della sua dignità, poiché non credo che questa dignità possa essere tutelata solo attraverso il socialismo; anzi, nel socialismo talvolta il fine della tutela di un concetto di dignità umana puramente filosofico (o più semplicemente collettivo) ha portato all’annullamento della dignità umana del singolo (non vuole essere un rimprovero alquanto inutile alla Storia, ma una constatazione senza la quale non c’è possibilità di crescita). Credo anche che il valore della dignità umana fosse preesistente al socialismo e sia, al di là del perseguimento della sua tutela e della ottenibilità stessa di questa tutela, un valore condiviso nel pensiero occidentale attuale e del quale non può e non deve appropriarsi una parte politica sola.

Quale sinistra allora? Non dimentico che l’accento che distingueva la sinistra hegeliana dalla destra era quello di chi affermava che «tutto ciò che è razionale è reale» e che perciò noi dobbiamo imporci di rivendicare la forza della progressività del nostro agire ispirato dalla razionalità del nostro pensare, un agire volto alla evoluzione ad bonum e non alla mera conservazione (che ha invece caratterizzato e caratterizza profondamente la sinistra presente); perché sennò diventiamo destra, della quale non dimentico l’importanza, sia in funzione della definizione dell’identità della sinistra, ma anche in funzione della condivisione del campo semantico e politico, che deve comprendere il valore della dignità umana e che sta nell’ammettere anche la accettabilità filosofica e quindi politica dell’altro culmine del pendolo hegeliano: «tutto ciò che è reale è razionale». Non possiamo cioè sottrarci alla dialettica politica, e non dobbiamo farci cogliere dalla inutile e vecchia tentazione della riduzione dell’avversario politico ad una via di mezzo tra un delinquente e una macchietta, al pensare che non abbia “dignità” di giocare sul nostro campo. Non possiamo ritenere che coloro che stanno “a destra” siano solo dei poverini (poiché ammettiamo che non possono tutti essere delinquenti), nella loro maggioranza ignoranti che si sono lasciati abbindolare da sirene e zucchero filato (dei compagni che sbagliano?). Non possiamo oltre ciò, ritornando al pendolo, non tenere in considerazione la razionalità della realtà così come è, pena il rischio di ridurci a utopia, se non a farneticazione. Mentre nostro compito è trovare soluzioni: usare razionalità per la realtà.

La realtà

Il dramma della politica per me sta tutto nel fatto che obbliga a ragionare anche in termini filosofici e io di filosofia non so niente. La parola realtà perciò mi spaventa, poiché se la affronto politicamente devo presumere di parlarne anche filosoficamente. Vado a memoria, e male: ricordo vagamente un mito greco, spurio forse, o meglio tardo: alcuni esseri approfittano del sonno di Dionisio per cospargerne il corpo e il volto di farina o calce. Al suo risveglio al guardarsi allo specchio Dionisio resta spaesato, non si riconosce istantaneamente, visto che è bianco. Gli esseri in questione approfittano del suo spaesamento per “farlo a pezzi” e divorarlo. Dionisio è la natura, alias la realtà, e non può essere “compreso” se non fatto a pezzi. Noi facciamo a pezzi la realtà, non la possediamo mai per intero.

Ora, noi possiamo provare a condividere dei pezzi di questa realtà considerandoli oggettivi (facendoci dunque beffe di tutta la riflessione da Cartesio a Kant, almeno), quanto poi all’interpretarli in modo univoco…non è neanche augurabile. I pezzi che vedo io, per come li vedo io, mi sembrano parlare di un mondo che non è impazzito, non più di quanto fosse pazzo nel bel mezzo della II guerra mondiale, o della conquista dell’America, o della tratta degli schiavi dapprima da parte degli Arabi (sì) e poi dei Cristiani, o anche di periodi più “pacifici”: nella Firenze di Lorenzo il Magnifico se la passava bene Lorenzo il Magnifico e pochi altri. Non percepisco l’Apocalisse alle porte, neanche in Italia. L’Occidente e i suoi valori non se la passano bene, forse, ma in essi mi riconosco e a me piacciono, mi piace questo concetto di dignità umana che non applichiamo, ma almeno abbiamo elaborato, mi piace che riflettiamo su noi stessi e sulle cose che facciamo. Non è molto, forse; non ci impedisce di fare guerre ed errori, vero, ma, per me, questa riflessione su noi è mostruosamente importante, questo continuo ripensare è il primo e inevitabile passo per la tutela della dignità umana.

Pezzi di realtà, anche astratta, dai quali anche volendo non possiamo prescindere, secondo me sono oggi condensabili in queste parole in ordine sparso, troppo piene e troppo vuote: democrazia, globalizzazione, laicizzazione (questo almeno secondo me, il perché è cosa lunga e non affrontabile qui), Europa, società della conoscenza, povertà, risorse, Italia, Sardegna, Nazione, Natzione, sinistra, destra, libertà, uguaglianza, socialismo, Nord-Sud-Est-Ovest, Occidente.

Da qui

Ve ne sono altri di pezzi, e forse me ne sfuggono di importanti, ma da qui sento di dover iniziare, sapendo che alle volte queste parole rappresenteranno l’oggetto, altre la prospettiva, altre il punto di vista. Da qui penso di poter provare a dare un contributo a questo progetto. Dalla mia sentita necessità di una critica della realtà per compiere una critica della sinistra, volta alla costruzione di risposte utili al di là dell’immediatezza. Non mi pongo fini educativi. Non pretendo di educare la società, non intendo applicare su nessuno la “violenza controllata” che sta alla base del principio di educazione, questo lo faccio già a scuola ed è già pesante così. Figurarsi poi una violenza tout court in nome di un qualunque ideale pur altissimo. Se forza ci deve essere sarà quella delle idee, altrimenti non sarà. E se non sarà vorrà dire che le idee non erano abbastanza buone.

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